Questo vino si inserisce, a fianco del Barolo, tra i grandi vini della produzione della Regione Piemonte e del Bel Paese. L’antico borgo del paese omonimo sorge in cima a una collina vicino ad Alba, in provincia di Cuneo, considerata fin dai tempi dell’impero romano un valido punto di osservazione, sentinella di possibili attacchi nemici.
La produzione di questa DOCG è come un principe sfarzoso, magnifica declinazione dell’uva Nebbiolo che appare per la prima volta su richiesta del Generale De Melas il 4 novembre del 1799 quando, dopo la sconfitta dell’esercito austriaco nella piana di Genola, venne ordinato al Comune di Barbaresco di “far condurre al campo di Bra una carrà di eccellente Nebbiolo” (botte dalla forma piatta e lunga). Ma l’unico e vero alma mater di questo vino fu Domizio Cavazza,
direttore della Scuola Enologica di Alba, che a fine del 1800 valorizzò la produzione del Barbaresco con l’acquisizione del Castello e la fondazione delle Cantine Sociali di Barbaresco. Nel 1894 grazie al suo importante contributo le tecniche di vinificazione vennero migliorate portando il Barbaresco a essere affiancato e presentato, già a quel tempo, al rinomato Barolo.
Più tardi, nel 1899, anche il Barbaresco entrò nella scena politica grazie all’Onorevole Teobaldo Calissano, che presentò in Parlamento il primo disegno di legge per “la salvaguardia dei veri vini Barolo e Barbaresco” da frodi e falsificazioni. Di fatto uno dei primi tentativi di azione legislativa in campo enoico nel nostro paese, a dieci anni dall’introduzione a Bordeaux della prima classificazione ufficiale dei vini di qualità.
A seguire, nel 1947 fu istituito il primo Consorzio di Tutela di Barolo e Barbaresco e nel 1963, con la legge 930, si sancì definitivamente la nascita delle denominazioni di origine e venne definito l’esatto ruolo dei Consorzi che, in questo caso, si adoperò ben presto per richiedere il riconoscimento delle DOC e DOCG, che per il Barbaresco avvennero rispettivamente nel 1966 e 1981.
Nel frattempo, un’importante tappa per questo Principe delle Langhe fu la fondazione della Cantina Sociale dei Produttori del Barbaresco, avvenuta nel 1958, simbolo di una vera rinascita per la zona dopo i due conflitti mondiali. Fu ancora una volta il buon Domizio Cavazza, che concluse il suo operato riunendo i 19 viticoltori (oggi divenuti 63) che si erano avvicinati e prodigati nelle tecniche di vinificazione per la produzione del solo vino Barbaresco.
Il disciplinare di produzione prevede che il Barbaresco deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento di almeno due anni e conservato per almeno un anno in botti di rovere o di castagno. Se sottoposto a un periodo non inferiore a quattro anni, il Barbaresco può portare in etichetta la dizione “Riserva” e le bottiglie in cui viene confezionato devono essere rigorosamente di forma albeisa o pari all’antico uso o tradizionale, in vetro scuro.
Il Barbaresco è un vino che ha segnato la storia delle Langhe e dei consumi dei tanti appassionati di enogastronomia di questa zona, capace di regalare emozioni inebrianti e di sorprendere per la sua complessità.
La zona di origine in cui è consentita la produzione del Barbaresco è piuttosto limitata: la superficie vitata si estende infatti soltanto per 690 ettari nei comuni di Barbaresco, Neive, Treiso e parte della frazione di Alba San Rocco Seno d’Elvio. Come per il Barolo, anche per il fratello minore Barbaresco, i terreni esprimono in maniera univoca nobili poesie dalle trame più strutturate se “composte” a Treiso a quelle più raffinate di Neive, longeve e corpose di Barbaresco.
Bellissimo e ruspante già dal colore rosso granato, tipico del grande vitigno da cui si ottiene, negli anni diverge verso l’aranciato. Il bouquet è targato da profumi fruttati dalle confetture dei frutti rossi con sentori floreali della viola. Il passaggio in barrique lo arricchisce di spezie, mallo di noce, cuoio e tabacco senza tralasciare la liquirizia e il cacao, che segnano brillantemente l’esperienza olfattiva.
In bocca si può apprezzare tutto il pregio dato dal periodo di affinamento. Il vitigno Nebbiolo in queste terre si esprime in un sapore secco mantenendosi sempre vellutato e armonico. La morbidezza all’assaggio è la protagonista che, insieme ai tannini, è precursore di una nobile rotondità.
Questa eccellenza della tradizione piemontese si abbina magistralmente con pietanze del territorio a base di carni rosse, ricche e intense in profumi e sapori, aromatizzate con il famoso Tartufo Bianco di Alba e i funghi porcini. I palati non disdegneranno neppure un accostamento a piatti a base di selvaggina, pollame, brasati e formaggi stagionati come tome e pecorini.