Nelle colline delle Langhe tra Nebbiolo, Barbera, Dolcetto e qualche uva internazionale, sul finire degli anni Novanta è riapparsa un’uva bianca semiaromatica molto particolare, la Nascetta. O meglio la Nas-cetta.
Nelle colline delle Langhe tra Nebbiolo, Barbera, Dolcetto e qualche uva internazionale, sul finire degli anni Novanta è riapparsa un’uva bianca semiaromatica molto particolare, la Nascetta. O meglio la Nas-cetta. Due le principali aziende pioniere della rinascita di questa cultivar abbandonata, Le Strette dei fratelli Daniele ed Elvio Cogno. Tutti notarono qualche grappolo tra qualche filare gestito da vecchi contadini… ne assaggiarono la polpa, servì un solo assaggio per farli innamorare di quel cangiante color oro e di quella solida e spessa buccia. Le prime vinificazioni in purezza iniziarono subito. E da lì a poco arriverà il coinvolgimento di una delle più grandi esperte di ampelografia, la Dott.ssa Anna Schneider. Il suo lavoro di studio confermò la parentela della Nascetta con il Gròs Blanc, una cultivar tipica della Val di Susa. Dal 2002 la Nascetta è all’interno della denominazione Langhe Doc, mentre risale al 2010 il riconoscimento della denominazione “Langhe Nas-cetta del Comune di Novello Doc”, la cui produzione è concessa esclusivamente nel Comune di Novello, impiegando uve Nascetta al 100%.
Dati alla mano, l’uva è adatta a produrre vini longevi in versione ferma ma anche passito. I suoli calcareo-argillosi, le Marne di San’Agata, che definiscono i contorni dei diversi areali produttivi di Langa contribuiscono a dare struttura, ricchezza aromatica e complessità. Un’uva che grazie al linalolo presente nelle bucce si distingue da tutte le altre varietà piemontesi a bacca bianca. Sapido, al naso richiama le note di agrumi maturi, fiori di acacia e più vanigliati che virano su note di zafferano con l’invecchiamento. Al palato non rappresenta ciò che si può avere in mente se si paragona il gusto ad altri bianchi aromatici. Si apprezza subito per la sua eleganza nel sorso, la sua struttura e un finale più amarognolo.
Il crescente interesse per l’uva lo si vede nel numero di etichette presenti oggi nel mercato, imbottigliate soprattutto come “Langhe” che prevedono da disciplinare anche un 15% di altre uve bianche. Un vino che si inserisce tranquillamente nell’offerta dei bianchi piemontesi per il suo esser minerale e aromatico, riconoscibile, e per le sue note che ricordano Moscato ma anche Sauvignon. In ogni caso quello che forse si è scordato di ricordare negli ultimi anni nel promuoverlo è la sua abilità a sfidare il tempo. Non è difficile inciampare in bottiglie chiuse con tappo a vite, ma anche con quella classica in sughero la tenuta temporale fa sempre tremare di stupore per le sue sensazionali sfumature, che nettamente lo avvicinano a un Riesling alsaziano o della valle del Reno.
In etichetta, per quanto riguarda la Doc di Novello, la menzione “vigna” è ammessa solo per i vigneti con un’età di impianto almeno di 3 anni e una resa del 70%, che dovranno esser sottoposti a un periodo di invecchiamento di almeno 5 mesi dal primo giorno di novembre del millesimo della vendemmia. Un’altra curiosità riguarda la commercializzazione, che è ammessa a partire dal 20 aprile dell’anno successivo alla vendemmia, nel formato bottiglia da 0,75 cl tipo Albeisa.
E a guardare la storia non ci poteva esser paese più idoneo di Novello per la rinascita della Nascetta. Il nome del paese, di epoca romana, in cui non mancano lapidi, medaglie e monete che risalgono soprattutto all’epoca dell’imperatore Domiziano, deriva da “novalis”, “terreno messo a coltura per la prima volta” o dal verbo latino “novellare” ossia “piantare nuove viti” o ancora “novellus” (nuovo). Insomma, siamo di fronte a un luogo con un’intrinseca attitudine a raccontare la storia. In questo caso iniziata dagli ampelografi Di Rovasenda (1879) e Lorenzo Fantini (1894), che per primi definirono la Nascetta come un vino quasi esclusivamente prodotto nel territorio di Novello. “Un’uva che vanta una finezza uguale al Moscato”.