Quello di Matteo Ascheri, al comando del più prestigioso consorzio del Piemonte, è un lavoro di visione, tutela e promozione. E il tutto è fatto con un approccio erga omnes. Verso tutti i produttori, ovviamente.
Sono 500 le aziende consorziate che insieme vinificano oltre 10 mila ettari di vigneti nelle denominazioni Dogliani, Dolcetto d’Alba, Diano d’Alba, Barbera d’Alba, Nebbiolo d’Alba, Verduno Pelaverga, Alba, Barbaresco e Barolo, per una produzione che sfiora i 65 milioni di bottiglie. Oltre alla sua capacità di ascolto, è sorprendente quella di analisi. Non nega a nessuno un confronto, e già dai primi attimi si percepiscono il coraggio e il desiderio di voler imprimere una svolta decisa al consorzio da lui presieduto.
Da tempo si parla della crescita esponenziale registrata soprattutto dal Barolo, di cui si producono oggi oltre 14,5 milioni di bottiglie, vendute a prezzi decisamente disomogenei. Il problema andava e va affrontato. Come? Il piano di Ascheri prevede il controllo dell’offerta concentrandosi sul commercio del vino sfuso e delle bottiglie presenti nella GDO a prezzi troppo bassi. E non è finita qui: la prima azione concreta della sua politica è stata il blocco ai nuovi impianti per gestire e fermare questa crescita. Semaforo rosso dunque a nuovi vigneti fino al 2022. Con i risultati di questa scelta da raccogliere tra almeno 7 anni. A questa, si aggiungono quella dell’abbassamento delle rese, da 80 a 70 quintali per ettaro, delle Mega e l’idea di inserire una “riserva vendemmiale”. Quest’ultima è una proposta al momento sul tavolo, ma non ancora sviluppata.
Sicuramente tra i principali obiettivi c’è quello di rivolgersi non più soltanto al trade ma anche ai consumatori finali, sempre più preparati e attenti al benessere del portafogli. E così, in agenda ci sono eventi locali e internazionali per presentare le nuove annate di Barolo e Barbaresco e per consentire a tutte le cantine consorziate di proporre le proprie etichette.
La promozione dunque come strumento e stimolo per i produttori stessi, liberi di potersi confrontare con il mercato. In equilibrio, da qualche anno, nonostante una lieve contrazione registrata con il millesimo 2014. Stabile invece il Barbaresco.
Ma qual è la sfida più grande di Ascheri? Il riposizionamento dell’offerta, con bottiglie vendute a prezzi più cari, e non il suo incremento così da evitare “guerre dei prezzi”.
E quando si affronta il tema dei consumi, e gusto dei consumatori, il presidente ci conferma il trend positivo del Langhe Nebbiolo (6 milioni di bottiglie prodotte). Perché? Semplice, perché funziona. C’è la qualità, il nome (l’unione di Langhe e Nebbiolo), il prezzo e il “gusto stilistico” pressoché omogeneo in tutta la denominazione. Nato per rispondere a una domanda che richiede vini più aperti, di beva non troppo complessa e pronti, per un consumo più immediato. Un plauso, in questo caso, ai produttori, per la loro reattività e per aver colto in tempo reale il cambio dei gusti del mercato. Soprattutto dei consumatori più giovani.
Erika Mantovan