A partire dal clima di preoccupazione circa i dazi americani imposti proprio in questi giorni da Donald Trump e dalle incertezze legate alla Brexit, sono sempre più numerose le circostanze che spingono a focalizzarsi sul lavoro di promozione e tutela delle nostre unicità.
Se l’andamento climatico del 2019 ci sta riportando a sensazioni di classicità ed equilibrio, con maturazioni lente e giuste escursioni termiche, la stessa sensazione di tranquillità non la si può provare se si riflette su quanto accade nei mercati europei e internazionali.
Per cautelarsi dai possibili effetti del “caso Brexit”, il Regno Unito ha scelto di fare una buona scorta di spumanti già all’inizio del 2019. Una scelta cautelativa, che al momento tiene ferme le pedine sulla scacchiera. Il mercato britannico infatti si piazza al primo posto tra i paesi importatori di spumanti (30% del totale export) e in terza posizione dopo USA e Germania, per i fermi. Un mercato “freddo”, analitico e di puro commercio, come ci insegna la storia, capace di assorbire da tempo anche importanti volumi di vini del nuovo mondo, che contribuiscono a tracciare i diversi micro mercati britannici, basati su prodotti di nicchia (vini autoctoni) da posizionare nei comparti Ho.Re.Ca dai gusti etnici, ma anche vini “super premium” e “mass market” che tutti insieme costituiscono il 25% del valore export piemontese.
Superata la crisi economica del 2008 c’è stato un costante incremento delle esportazioni di vino italiano oltre Manica (+80%, pari a un valore di 2,7 miliardi tra il 2009 e il 2018), che ha riguardato soprattutto i vini spumante. Con una quota di export superiore al 50%, il Regno Unito è infatti il primo mercato di destinazione degli spumanti italiani: di questi la maggior parte arriva da Veneto (75%) e Piemonte (18%), che insieme si guadagnano il primato dell’export mondiale degli spumanti. Sul fronte di fermi e sfusi, nell’ultima decade le esportazioni dall’Italia verso il Regno Unito hanno fatto registrare una crescita costante e consolidata nel tempo, con rispettivamente +44% e +2% in termini di valore.
Cosa fare ora? Le previsioni sono sempre difficili, soprattutto in economia, ma se è vero che la storia si ripete, il Regno Unito non perderà la sua anima di scouting e di commercio e questo mercato sarà sempre attento alla ricerca di novità per fare business.
Per quanto riguarda il Piemonte la via da intraprendere sta forse nel mezzo. Ossia: puntare sugli autoctoni, proporre meno referenze della stessa denominazione, ma di grande qualità, con un paio di queste dedicate al mondo dei Wine Bar e al piacere del bicchiere quotidiano. E in questo la partita se la giocano il Langhe Nebbiolo ma anche le Docg targate Dolcetto, se cavalcano l’idea. Certamente poi c’è la prospettiva dell’Alta Langa e dei grandi bianchi nativi piemontesi, e non solo di Langa.
*Fonte: ISMEA su dati ISTAT