Quello della Corea del Sud si sta rivelando un mercato positivo, su cui puntare. E parecchio! Con i suoi 50 milioni di abitanti è lo stato con il più interessante tasso di crescita, tanto da rendendolo la dodicesima economia del mondo.
Quello della Corea del Sud si sta rivelando un mercato positivo, su cui puntare. E parecchio! Con i suoi 50 milioni di abitanti è lo stato con il più interessante tasso di crescita, tanto da rendendolo la dodicesima economia del mondo. E se guardiamo al comparto del vino, e al suo consumo, i numeri sono dalla nostra parte, con una richiesta sempre più alta di etichette italiane.
Un mercato disponibile a scoprire più approfonditamente i gusti dell’occidente usando forchetta e coltello, nonostante la presenza di prodotti complementari al vino come lo Soju, un distillato di grano o patata, e soprattutto il riso, ingrediente primo anche del Makgeolli, a richiamare abbinamenti più tradizionali. Bevande con una bassa gradazione alcolica, paragonabile a quella di una birra, molto apprezzate e consumate con un rapporto qualità /prezzo sbalorditivo. Ma da vent’anni a questa parte le cose sono cambiate: i gusti e le abitudini si sono reciprocamente contaminati, coinvolgendo a 360 gradi tutti i comparti della ristorazione e del turismo. Ecco i nostri vini a diventare parte delle vita quotidiana, non una moda ma una scelta di gusto.
Secondo le statistiche realizzate dall’ICE (Agenzia per la promozione all’estero e per la internazionalizzazione delle imprese italiane), l’Italia è in terza posizione come fornitura di vini in Corea del Sud, coprendo il 14% circa delle importazioni totali con un +10,8% di esportazioni registrate nell’ultimo anno e un incremento del 17,2% rispetto al 2017, per un valore di 29 milioni USD (2018). Rientrando, inoltre, tra i 5 top performer insieme a Lituania, Polonia, Australia e Francia.
La ricchezza dell’offerta italiana, e ovviamente piemontese, è perfettamente in grado di soddisfare una domanda coreana che cerca vini più morbidi ed equilibrati, di beva più semplice, contraddistinta da aromi più fruttati che boisé, che non deve esser priva di una propria identità. Questo quanto riportato dal “Flavaour and Varietal Preference in the South Korean Market” 2018 di Wine Intelligence. Un trend che si riscontra – come ben sappiamo – non solo nella Corea del Sud ma anche nel nord Europa, nel nostro mercato interno e USA. Una tipologia di vino che riesce ad abbracciare un po’ tutte le fasce di età, con i giovanissimi più propensi a un consumo di Chardonnay, mentre nel target dai 25-44 tra i preferiti compare a sorpresa il Moscato. Tra i rossi invece in testa troviamo Cabernet e Pinot Nero, quest’ultimo preferito dalla maggior parte dei target.
Insieme a Cina, Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, la Corea del Sud è tra i primi cinque paesi al mondo nelle vendite e-commerce (fonte eMarketer), che arrivano a coprire più dell’82% del totale, per un valore stimato di 3.563 miliardi di dollari; percentuale che arriverà all’85% entro il 2022.
Il consumatore coreano rientra tra i player centrali dello sviluppo del ciclo di vita dei prodotti. E questo merita qualche riflessione: tra tutte quella di continuare a far conoscere le cultivar piemontesi per capire quali tra queste potrebbero fare centro e diventare un’alternativa ai popolarissimi vini a base di uve francesi, puntando su tipicità, unicità e storicità. Un elemento che a volte dimentichiamo.
Erika Mantovan